Già ormai da diversi decenni si parla di strutture interrate e della necessità della loro impermeabilizzazione.
Tali possibilità ed esigenze si hanno da quando i materiali e le tecnologie realizzative dei cantieri e delle opere hanno consentito di pensare e di procedere anche alla progettazione e realizzazione di volumi ipogei, senza dover necessariamente ricorrere al consumo del suolo, praticamente in ogni tipo di condizione (si pensi, ad esempio, alla realizzazione del tunnel ferroviario sotto il Canale della Manica), affidando a tali ambiti praticamente qualsiasi tipo di funzione e di destinazione d’uso.
Ovviamente, trattandosi di strutture (o parti di esse), realizzate a contatto con il terreno e, molto spesso, con le acque di falda e/o di percolazione presenti, si dovrà considerare il fatto che esse saranno soggette all’aggressione dell’ambiente circostante che si potrebbe rivelare, nel tempo, piuttosto insidioso soprattutto nei riguardi della durabilità dei materiali.
E’ noto, infatti, come l’acqua rappresenti un ottimo solvente in generale e per le sostanze aggressive in particolare (es. per i sali presenti nel terreno) e costituisca un ottimo veicolo per le stesse mettendole in grado di spostare la loro azione aggressiva sino all’interno della matrice stessa dei getti o comunque a ridosso delle strutture.
Per tener conto di questa situazione si dovrà quindi avere un occhio di riguardo per la protezione dei materiali al fine di mantenerne la loro integrità perseguendo ed ottenendo, nel contempo, la salubrità degli ambienti realizzati.
Le norme
L’argomento è talmente importante che trova spazio addirittura nelle norme che riguardano la progettazione e realizzazione o recupero di strutture venendo richiamato, appunto, nel decreto riportante le Norme Tecniche per le costruzioni che richiama espressamente la necessità di individuare la Classi di esposizione delle strutture prima di procedere alla progettazione e dimensionamento dei loro elementi principali (DL 17 gennaio 2018 e relativa Circolare esplicativa).
Per poter rispettare il parametro della durabilità espresso come “Vita Nominale (Vn)” della struttura, cioè il periodo di conservazione delle sue caratteristiche fisico-meccaniche, vengono indicate delle prescrizioni costruttive relative, ad esempio, a metodi di protezione, alle regole di maturazione, ai monitoraggi da eseguire, ad azioni manutentive, a dimensioni minime (es. lo spessore del copriferro) per poter resistere in qualsiasi condizione ambientale; ciò obbliga il progettista a studiare l’ambiente caratterizzandolo qualitativamente e quantitativamente.
Gli aspetti da considerare e le soluzioni
In quest’ ottica l’impermeabilizzazione delle strutture fa quindi parte di quelle “contromisure” che si dovrebbero adottare in fase di progetto e di realizzazione delle opere, che permettono di poter considerare l’ambiente circostante “meno aggressivo” dal momento che ne attenuano gli effetti negativi, proteggendole.
Quando si realizzano strutture ipogee il principale (o comunque molto frequente) problema da affrontare e risolvere consiste nella presenza di acqua sotterrane (falda) sia essa temporanea che costante.
Normalmente le falde che si incontrano (quelle più superficiali) sono di tipo freatico e sono formate dall’acqua che da monte scende verso valle scorrendo al di sopra di strati impermeabili (es. argilla) e rappresenta, quindi, una specie di fiume sotterraneo la cui profondità (sia di pelo libero che di spessore), può essere ricavata con semplici sondaggi geognostici.
Va sempre ricordato che una costruzione interrata deve poter consentire il mantenimento di un volume vuoto (ed asciutto) immerso in una falda (o comunque in ambiente generalmente molto umido) e pertanto le caratteristiche meccaniche della struttura dovranno essere tali da garantire il permanere della sua integrità anche in presenza di carichi idrostatici non presenti normalmente in altri ambiti e la sua tipologia costruttiva dovrà essere tale da garantirne la sufficiente monoliticità (quindi, a nostro avviso, quelle più adatte a questo tipo di ambiente sono le strutture continue e gettate in opera quali, ad esempio, quelle formate da una platea di fondazione e murature perimetrali continue in cemento armato con essa collaboranti).
I getti che si realizzeranno costituiranno quindi una “vasca” alla quale dovrà essere possibilmente impedito di venire a contatto con l’acqua dal momento che questa, come visto precedentemente, può originare una serie di problematiche sui materiali e sugli ambienti.
Il manto impermeabile che verrà predisposto, infatti, impedirà all’acqua di passare ma necessariamente questa scaricherà la sua pressione contro le strutture che dovranno, pertanto, risultare idonee a sopportarne le sollecitazioni derivanti.
Sottovalutazioni di queste condizioni di carico hanno talvolta portato alla rottura dei vari elementi strutturali (es. le platee di fondazione) con conseguente manifestazione di infiltrazioni d’acqua.
L’impermeabilizzazione viene vista, in sostanza, come una “protezione” per la struttura e su di essa dovrà produrre i suoi benefici in termini di durabilità e salubrità.
Proprio per procedere ad una comprensione e valutazione di questi sono stati eseguiti diversi studi relativamente gli effetti legati alla presenza o meno di un sistema impermeabilizzante e sull’influenza o meno che esso possa avere sulle condizioni di vita interne ai locali protetti, in termini di temperatura delle superfici, di umidità presente e di formazione di eventuale condensa.
Ricordiamo che ambienti “freddi, umidi e poco areati” aumentano la possibilità di proliferazione delle muffe (funghi pluricellulari) che disperdono le loro spore in aria attecchendo alle superfici e rappresentando problemi non solo estetici ma anche sanitari (es. riduzione delle difese immunitarie, allergie che possono risultare anche pericolose poiché durature, etc.).
Edifici con ambienti sani ed asciutti risultano di qualità superiore e quindi di più semplice ed economica fruibilità e maggior valore commerciale.
Lo studio
In un recente studio del 2015 (rif. “Characteristics of Humidity-Temperature Changing in the Below-Grade Concrete Structure by Applying Waterproofing Materials on the Exterior Wall” Sang-Mook Chang et al.) eseguito col fine di comprendere le differenze tra ambienti ipogei impermeabilizzati e non e verificare l’influenza della presenza dell’impermeabilizzazione (e del diverso tipo della stessa) sulla qualità degli ambienti protetti o meno, sono state eseguite diverse prove comparative procedendo alla variazione di alcuni parametri interni ed esterni e individuando, quindi, le relative reciproche influenze sugli altri.
I parametri presi in considerazione per la descrizione delle condizioni ambientali dei locali, oltre al tipo ed ubicazione dell’impermeabilizzazione, sono stati la resistenza dei materiali (cls), la temperatura ed il grado di umidità relativamente alla formazione o meno di condensa sulle superfici, ottenendo risultati per certi aspetti attesi insieme ad altri. Invece, inaspettati.
Sono stati predisposti due tipi di campioni (piccoli box realizzati in calcestruzzo normale o ad alta resistenza), muniti di sensori e impermeabilizzati dall’esterno o dall’interno o, addirittura, privi di trattamento impermeabile, parzialmente immersi in acqua (a simulazione della presenza della falda) e se ne sono studiati i comportamenti conseguenti a variazioni della temperatura o umidità interna ed esterna a simulazione delle variazioni stagionali.
I risultati ottenuti possono essere ricondotti alla seguente sintesi:
- Simulando il periodo invernale i dati hanno dimostrato che la presenza di un’impermeabilizzazione esterna (sia in strutture realizzate con calcestruzzi ad alte prestazioni (H) che ordinari (O) ha sempre degli effetti positivi sull’isolamento termico degli ambienti dal momento che i campioni così trattati (impermeabilizzati) hanno mantenuto una temperatura costantemente superiore (+1,13° C) a quelli trattati dall’interno (sia H che O) che quelli non trattati. Se ne deduce quindi che la sua presenza dell’impermeabilizzazione esterna contribuisca a mantenere costante il comportamento dell’isolamento termico ed a rendere difficile la formazione della condensa all’interno.
- Il campione in calcestruzzo ordinario non rivestito ha risentito delle variazioni di temperatura e umidità esterna ed è stato facilmente penetrato dall’umidità esterna risultando vulnerabile alla formazione della condensa.
I campioni in calcestruzzo ordinario con impermeabilizzazione interna hanno resistito al passaggio dell’umidità solamente nelle fasi iniziali dei test per poi comportarsi come quelli non trattati da cui si deduce che nel lungo termine non è possibile controllare l’umidità con la sola predisposizione dell’impermeabilizzazione interna.
- La resistenza meccanica dei calcestruzzi influenza le variazioni di temperatura e umidità (quelli ad alta resistenza hanno densità maggiore quindi assorbono minori quantità d’acqua e ciò fa sì che le variazioni della temperatura risultino ridotte) ma essa non può essere la soluzione fondamentale per i problemi della condensazione (si ottiene solo un ritardo nella sua comparsa) che rimane la presenza della impermeabilizzazione esterna.
- L’impermeabilizzazione esterna rimane il modo più efficace per controllare i fattori di formazione della condensa interna (trasmissione della temperatura, alimentazione dell’umidità e percorso di trasmissione) e ciò consente di valutare o meno la necessità di impianti di controllo (ventilazione, riscaldamento, deumidificazione). L’impermeabilizzazione esterna è in generale più efficace dell’adozione di calcestruzzi ad alta resistenza (impermeabili) o dell’impermeabilizzazione interna.
- Temperatura e umidità interna non possono essere controllate se vi sono danni o infiltrazioni dall’impermeabilizzazione esterne.
- Il contributo al controllo della temperatura e umidità interna dato dall’impermeabilizzazione esterna è continuo e costante durante tutto l’anno (ed il ciclo di vita dell’opera) anche se i maggiori effetti si notano durante la stagione fredda.
La conclusione
Alla conclusione dello studio, quindi, ed in accordo ed a conferma di quanto si ritiene e si indica ormai da molti anni, vi è una forte raccomandazione, sin dalle fasi progettuali e realizzative, di ricorrere all’adozione ed impiego dell’impermeabilizzazione esterna al fine di garantire e mantenere una buona temperatura all’interno della struttura ipogea di cemento armato, allontanando le problematiche legate alla formazione della condensa.
Deve ovviamente essere sottolineato, soprattutto per quanto riguarda le riparazioni dalle infiltrazioni e le impermeabilizzazioni fatte dall’interno, che il risultato emerso in pratica possa essere mitigato dalle tecniche adottate, dalle stratigrafie/geometrie realizzate e dai materiali utilizzati fermo restando che la condizione basilare è che le strutture siano idonee e resistenti a resistere alla pressione idrostatica negativa legata al contesto analizzato.