Impermeabilizzare fuoriquota
Contrariamente all’ambito interrato, nel caso del “fuoriquota” (ndr: quota piano campagna), ovvero per le parti esterne al terreno, è logico partire dagli eventi meteorici e dalle tematiche principali da questi innescate nelle costruzioni, ossia dalla protezione superiore dell’edificio: il tetto.
In questa sede non c’è intenzione di entrare negli aspetti più didascalici di definizione di tetti piani, a falde, inclinati in genere, bensì di inquadrare la problematica sostanziale: l’allontanamento delle acque piovane.
Mentre nell’interrato e sul piano campagna ci si trova, come citato in altri articoli presenti nel nostro blog, ad essere “immersi” nel terreno e nell’acqua/umidità che in esso ristagna, per l’edificato fuori terra il vero problema è, invece, evitare l’infiltrazione dell’acqua meteorica nel transitorio del suo deflusso verso il terreno stesso.
Tipologie di coperture e tetti piani
Come ben si conosce anche a livello storico, più è rapido il deflusso e meno probabilità ci sono di avere infiltrazioni nello stabile. In sostanza, quanto più la pendenza è accentuata e quanto meglio funziona il tutto.
I tetti a falde ripercorrono le medesime tematiche con lastre e tegole di varia foggia e dimensione, integrando i concetti di impermeabilizzazione con quelli di ventilazione ed isolamento, per evitare rispettivamente condense e dispersioni termiche.
Le problematiche maggiori si riscontrano, invece, quando le basilari regole di deflusso vengono meno o per incidenti di percorso o per la stessa morfologia della copertura, come nel caso dei tetti piani.
Le coperture piane, infatti, si trovano nell’esigenza di predisporre superfici al finito con limitati dislivelli/pendenze e, comunque, di garantire il deflusso dell’acqua senza percolazioni nei locali sottostanti.
Le coperture piane si possono differenziare in coperture industriali o comunque non praticabili, solai adibiti a parcheggi (sopra centri commerciali o a chiusura di parcheggi multipiano), terrazzi o balconi.
Dal punto di vista strutturale le categorie precedenti si dividono sostanzialmente in solai misti, o strutture in cemento armato massivo, che normalmente corrispondono rispettivamente alle coperture piane generiche ed ai terrazzi, le prime, mentre i balconi sono il classico esempio di soletta armata in c.a. pieno.
Naturalmente esistono eccezioni, come nel caso di solai in c.a. per transito o parcheggio di veicoli anche di grosso peso, quali possono essere parcheggi ad uso industriale o accessi a strutture per il carico/scarico, oppure per emergenze (ambulanze, vigili del fuoco…).
I differenti comportamenti delle strutture e l’impermeabilizzazione
La differenza determinata dalla struttura è importante ai fini di poter definire i possibili movimenti ed assestamenti del supporto su cui realizzare tutto il pacchetto di impermeabilizzazione ed isolamento, oltre all’eventuale rivestimento praticabile finale.
Nel caso di strutture miste (latero-cemento, predalle o prefabbricati) la continuità del solaio è realizzata tramite una gettata in c.a. collaborante con gli elementi sottostanti, ai quali ripartisce i carichi e dai quali riceve le sollecitazioni dei vincoli di appoggio.
Il funzionamento “a lastra” del solaio passa, quindi, attraverso una varietà di azioni e reazioni dei diversi componenti, con evidente possibilità di comportamenti non sempre omogenei, sia nei confronti delle variazioni climatiche (vedere normativa UNI al riguardo), che in riferimento ai carichi, soprattutto quelli dinamici.
Il problema determinato da tali fenomeni è l’induzione di fessurazioni generalizzate con andamento casuale, che creano tensioni puntuali, anche molto alte, che, da sempre, hanno reso consigliabile l’utilizzo di sistemi impermeabilizzanti non completamente adesi al supporto per evitarne la rottura.
Se da un lato questo metodo di posa di guaine bituminose evita il trasferimento delle sollecitazioni tra supporto e manto impermeabile, di fatto, però, lascia ampio margine di passaggio di eventuali infiltrazioni puntuali tra isolamento e solaio.
I fenomeni di fessurazione e Crack Bridging Ability
Manto/solaio sono alla base delle perdite non riparabili, o comunque di difficile individuazione, dei sistemi impermeabilizzanti sopra citati.
Per superare tali limiti si possono utilizzare sistemi deformabili in adesione totale al supporto che consentano di circoscrivere eventuali difettosità puntuali, permettendone la riparazione con interventi mirati e ben gestibili.
Per ottenere questo risultato è necessario disporre di sistemi impermeabilizzanti flessibili, in grado di sopportare, deformandosi, le sollecitazioni di distacco generatesi dall’apertura di fessurazioni postume alla posa del manto impermeabile.
I fenomeni di fessurazione postuma sono ormai normati anche a livello europeo e la misurazione della Crack Bridging Ability (capacità di far “ponte” su fessurazione) ha messo in luce come le maggiori performance si ottengono abbinando sistemi specifici opportunamente supportati dall’inserimento di membrane microforate che ne amplificano la deformabilità.
Anche la membrana utilizzata in abbinamento al sistema, infatti, deve essere un elemento di amplificazione della deformabilità e non risultare “un’armatura di irrigidimento” del sistema, come invece avviene ogniqualvolta si inseriscono retine rigide o componenti laminati non deformabili.
La CBA non prescinde dal sigillare opportunamente giunti e discontinuità del supporto, che hanno movimenti di vari centimetri contro i micron delle cavillature di cui si sta trattando in merito al supporto.
In tal senso sui balconi (ndr: struttura in c.a. massiccio aggettante l’edificio) non sussistono problematiche specifiche da risolvere con sistemi dotati di CBA, ma permangono le esigenze di impermeabilizzare la superficie e di sigillare lo spiccato soletta/muro, trattandolo come giunto di assestamento, come in effetti si individua, visto il diverso comportamento dei due elementi costruttivi.
Sia questi giunti sugli “spiccati” in genere che le discontinuità strutturali devono trovare idoneo trattamento, specificatamente studiato ed integrato nel sistema impermeabilizzante selezionato.
A tal fine, quindi, si dovranno predisporre e gestire giunti strutturali idonei a permettere lo scarico delle tensioni sul piano del solaio, per evitare carichi “di punta” del medesimo, e giunti di ripartizione nei massetti e pavimentazioni soprastanti, onde riproporre una “via di fuga” dalla medesima problematica.
Chiaramente strutture in c.a. compatto non presentano tali problemi e, opportunamente calcolate, possono considerarsi monolitiche con cavillature massime nell’ordine di 200-300 micron, dovute comunque ai fenomeni di ritiro.
Tutti i tetti piani devono prevedere pendenze minime nell’ordine di 1-3 %, in funzione delle dimensioni e dell’esposizione ad eventi meteorici di grossa intensità.
L’acqua dovrà trovare agevole deflusso sulle superfici e attraverso scarichi, opportunamente predisposti come posizione e dimensioni.